Risentire oggi quelle tracce ci fa capire che "Canzoni d'amore" fa dell'amore un insospettabile ed efficacissimo filo conduttore per raccontare la recente Storia, e per tracciare con straordinaria lucidità un affresco di un'epoca tuttora in svolgimento.
La chiusura dell'album è affidata alla canzone "Rumore di niente", quasi una suite di oltre 6 minuti con lunghe parti strumentali, specialmente sul finale.
Il testo è quello che più di tutti fa i conti con la Storia: siamo lontani da "La storia siamo noi", e di tutto quell'ottimismo e della fiducia presenti nella hit del 1985 che darà il titolo a un noto programma televisivo resta un inquietante "rumore di niente".
Ma veramente avevamo creduto nell'unione dei popoli, e soprattutto, avevamo creduto veramente (e qui si ritorna al titolo dell'album) che avremmo ancora parlato d'amore?
Nulla di tutto questo, e ora, alle soglie del nuovo millennio, ci sembra di udire nuovamente "una musica che abbiamo sentito già": il lungo finale richiama molto fedelmente il ritornello di "Lili Marlene", sì anche lei un simbolo di Amore (Eros, e anche Agape), ma anche un richiamo ai tempi oscuri della guerra e a quell'"imbianchino" che seminò morte e terrore in tutta Europa.
Tornano le paure del passato nel momento in cui le speranze e i sogni si stanno spegnendo. E' il senso di quei magnifici tre versi, costruiti con un sapiente uso della retorica:
E le orecchie non vedono niente
Tra Babele e il Villaggio Globale"
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