lunedì 25 settembre 2017

Rumore di niente, di Francesco De Gregori

L'Amore come filo conduttore di una specie di concept album poteva risultare sin troppo scontato, eppure Francesco De Gregori non ne ebbe paura per il suo "Canzoni d'amore". Correva l'anno 1992, e la storia era lì, a due passi, tra Sarajevo, la fine dell'Unione Sovietica e del socialismo reale, Tangentopoli, il crollo della Prima Repubblica. E De Gregori era lì a cantarci l'amore. Solo qualche anno prima questo poteva costargli carriera e reputazione, almeno negli ambienti più ideologizzati, e invece nel 1992 quello stesso album segnò una svolta nella carriera del cantautore romano, e suscitò apprezzamento immediato e unanime da parte di pubblico e critica.

Risentire oggi quelle tracce ci fa capire che "Canzoni d'amore" fa dell'amore un insospettabile ed efficacissimo filo conduttore per raccontare la recente Storia, e per tracciare con straordinaria lucidità un affresco di un'epoca tuttora in svolgimento.

La chiusura dell'album è affidata alla canzone "Rumore di niente", quasi una suite di oltre 6 minuti con lunghe parti strumentali, specialmente sul finale.
Il testo è quello che più di tutti fa i conti con la Storia: siamo lontani da "La storia siamo noi", e di tutto quell'ottimismo e della fiducia presenti nella hit del 1985 che darà il titolo a un noto programma televisivo resta un inquietante "rumore di niente". 
Ma veramente avevamo creduto nell'unione dei popoli, e soprattutto, avevamo creduto veramente (e qui si ritorna al titolo dell'album) che avremmo ancora parlato d'amore?
Nulla di tutto questo, e ora, alle soglie del nuovo millennio, ci sembra di udire nuovamente "una musica che abbiamo sentito già": il lungo finale richiama molto fedelmente il ritornello di "Lili Marlene", sì anche lei un simbolo di Amore (Eros, e anche Agape), ma anche un richiamo ai tempi oscuri della guerra e a quell'"imbianchino" che seminò morte e terrore in tutta Europa.

Tornano le paure del passato nel momento in cui le speranze e i sogni si stanno spegnendo. E' il senso di quei magnifici tre versi, costruiti con un sapiente uso della retorica:

"E le bocche stanno a guardare
E le orecchie non vedono niente
Tra Babele e il Villaggio Globale
"


Nessun commento:

Posta un commento