E' tornato, con un quasi concept album di 24 tracce, suonato e prodotto con i collaboratori di sempre: Paolo Gianolio, Danilo Rea, Gavin Harrison, e così via. Dice Claudio che questo è "Un album in costume d'epoca", e ci gioca su da tempo, già dal periodo di promozione prima del lancio ufficiale, quando sottolineava che questo sarebbe stato un album suonato dalla prima all'ultima nota. È più che ovvio che da un Claudio Baglioni non ci saremmo mai aspettati un album "non suonato", magari infarcito di suoni elettronici e sintetici, tantomeno un album, non so, trap, come scherza anche Michele Monina nella sua bellissima recensione. Ma si prova ugualmente stupore nell'ascoltare "In questa storia che è la mia", perché è un lavoro curatissimo, confezionato da un artista che ci tiene veramente tanto al suo pubblico, che non intende più stupire a tutti i costi e nemmeno crogiolarsi negli arzigogoli sintattici o in arrangiamenti sopra le righe. Stavolta la storia di Claudio, per osmosi, si lega con la nostra storia, quella del suo pubblico, per noi che lo seguiamo oramai da una vita intera, e con lui abbiamo attraversato gli anni - i "più belli" ma anche i meno belli - con in testa sempre il pezzo di canzone giusto per ogni momento. Così, quella specie di nemesi storica del Claudio degli ultimi 20 anni, sempre più distante, impenetrabile, labirintico e ridondante ai limiti del ridicolo, viene elaborata e metabolizzata da questo lavoro, che se da un lato è diretta emanazione di quel tortuoso percorso, dall'altro ripesca a piene mani nel passato dell'"age d'or" baglioniana, quella che va da "Strada facendo" (1981) a "Io sono qui" (1995).
I riferimenti a "Strada facendo", 40 anni dopo, sono molteplici, dai brevi interludi autobiografici al remake molto autoironico di "Via" con il nuovo brano "Reo confesso". Gli arrangiamenti di Celso Valli funzionano benissimo con la voce "nuova" di Claudio, anzi, funzionano più ora, al cospetto di quelle frequenze più ruvide, che ai tempi di "La vita è adesso".
Tra i momenti più efficaci menziono, a titolo del tutto personale:
- Come ti dirò: riecheggiano le sonorità di "Fammi andar via" o di "Tienimi con te". A mio parere potrà diventare un nuovo classico nel repertorio baglioniano.
- Quello che sarà di noi: qui siamo più vicini al clima sonoro di "Oltre". Efficacissimo l'uso del flicorno nel restituire un'atmosfera di grande intimità (sembra fare un po' il verso alle sonorità del guitar synth di Pat Metheny), e il giro di basso nell'inciso.
- Altrove e qui: nel ritornello cita un po' Georg Friedrich Haendel (la Sarabanda della colonna sonora di Barry Lindon di Stanley Kubrick), me n'ero accorto già quando questo tema venne usato per la presentazione delle serate live "Al centro" di Verona nel 2018. Ora il tema si è sviluppato ed è diventato un brano in quello stile epico e corale alla Baglioni per cui ho da sempre un debole ("Le vie dei colori", "Di là dal ponte", etc.).
- Le versioni acustiche, su tutte quella di "Io non sono lì" che - lo ammetto - all'uscita un mese fa non mi piacque affatto, ma in acustico con pianoforte Rhodes e voce ne esce assolutamente impreziosita.
Eccolo qua, Claudio Baglioni, un quasi settantenne con un passato così gigante a cui è tanto difficile tenere testa, un quasi settantenne che ancora si emoziona da bravo figlio unico a parlare dei suoi genitori, delle sue origini umbre, della sua storia tutto sommato "normale", un quasi settantenne che ama ancora mettersi in gioco, in questo tempo in cui il cantante considerato più rivoluzionario se ne esce con un album di canzoni di Natale, e tutte le classifiche musicali sono dominate da fenomeni non musicali. Grazie di tutto, Claudio.
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