domenica 20 giugno 2021

Come mi vuoi? - Paolo Conte

Con questa si va sul pesante: è una di quelle canzoni per cui nutro una tale venerazione che quasi mi fa paura parlarne. Sto parlando di "Come mi vuoi?" di Paolo Conte, inserita nell'album "Paolo Conte" del 1984, il primo pubblicato con la CGD. L'intero album è un contenitore di capolavori del cantautore astigiano: Sparring partner, Sotto le stelle del jazz, Come di, Gli impermeabili, e così via. Tra questi titoli "Come mi vuoi?" risulta quasi una perla nascosta. Certo, nel corso del tempo non sono mancate cover e reinterpretazioni, la più nota di Fiorella Mannoia, ma gli arrangiamenti non hanno mai reso giustizia a quella che è la caratteristica essenziale del brano: la Semplicità.

Sì, perché Paolo Conte ha fatto sempre dell'essenzialità la sua principale cifra stilistica. Il suo è sempre un lavoro in sottrazione, nella musica come nella parte poetica. Ed è proprio attraverso questa riduzione all'indispensabile che avviene il sortilegio: una canzone di Paolo Conte la si vive per impressioni, assonanze, tensioni armoniche non risolte, pause, interiezioni verbali ("Ehi... come mi vuoi?") e, in questo testo più che mai, attraverso evocazioni multisensoriali.

Come ho letto da qualche altra parte, la struttura del testo è una specie di "sonetto", al contrario, perché qui le due terzine precedono le due quartine. Le due terzine hanno una natura interrogativa, in parte al presente, in parte al futuro. Capiamo sin da subito che ci troviamo di fronte a una coppia, un lui e una lei non meglio specificati. Si tratta di una coppia in crisi? O di due persone a un primo appuntamento? O addirittura di due amanti occasionali? Difficile dirlo. Gli interrogativi sono di quelli importanti: "Dove mi porti tu?", "Sai come prendermi?". La linearità musicale di questo primo passaggio induce a una condizione statica, di riflessione e introspezione, nella quale irrompe la potenza evocativa delle immagini che seguono nella seconda parte.

Così, un panino ci riporta alla pura corporeità di un pasto frugale, qualcosa da mordere al volo per alleviare l'appetito. È un imperativo "Dammi un sandwich e un po' d'indecenza" che lascia intuire una bramosia neanche troppo nascosta, evocata anche da quella musica "turca" da mettere a palla da riempire la stanza, "d'incantesimi, di spari e petardi". Occhio, facciamo ben caso a come in questi passaggi ci si muova dapprima verso l'alto (il "riempire la stanza") e successivamente verso il basso (dalla leggiadria dell'incantesimo alla dozzinale euforia del petardo), perché la poetica di Paolo Conte è sempre in movimento, sempre "onda su onda".

Lo sguardo si volge poi indietro, a un "pullman perduto una volta, lontano da qui", immagine di grande tenerezza che improvvisamente ci cala, non so, in un pomeriggio d'estate in una città di provincia, "lontana" però, come lontane sono tutte le mete di Paolo Conte. 

Si arriva così alla conclusione, in un tripudio multisensoriale, sentiamo odore di spezie nel buio (immagine splendida, se poi pensiamo che quell'odore di spezie ce l'ha fatto "sentire" la musica turca), e "lì dentro", in quel buio profumato, quei due, abbracciati.

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giovedì 3 giugno 2021

Malamore - Alla riscoperta di Enzo Carella

Enzo Carella è uno di quei nomi che si sentono molto di rado, ma pur nel suo essere stato quasi una "meteora" (termine usato in modo assolutamente improprio) della discografia italiana, resta tra i cantautori più influenti della sua generazione, il cui lascito si è propagato in una lunghissima scia nel corso dei decenni. Per fare qualche esempio recente, artisti come Riccardo Sinigallia o Colapesce non solo lo hanno coverizzato (consiglio di ascoltare le loro rispettive versioni proprio di "Malamore"), ma ne hanno acquisito non pochi elementi, sia nello stile compositivo che nella caratterizzazione interpretativa.

Scriveva molto bene Carella, aveva grandi capacità compositive, i suoi pezzi hanno un groove pazzesco (nei brani più funky come anche nelle ballad), e giocava con la melodia in modo sublime.

Lucio Battisti, poco incline a giudicare i suoi colleghi, disse di Carella che era il solo cantautore italiano che suscitava il suo interesse; e sembrerebbe proprio che i due si siano vicendevolmente influenzati: Carella prese per esempio da Battisti il gusto per la ritmica e per l'uso audace degli intervalli nelle linee melodiche; Battisti fu forse influenzato musicalmente da Carella in alcuni suoi album post-"Anima Latina": "Io, tu, noi tutti", "Una donna per amico", e probabilmente anche negli arrangiamenti di quella gustosissima (e catastrofica) raccolta in lingua inglese che fu "Images".

C'è però un dettaglio ancora più intrigante: i testi delle canzoni di Enzo Carella sono di tale "Lino" Panella, al suo assoluto esordio come paroliere: sì, lo stesso Pasquale Panella con cui proprio a fine anni 70 Battisti iniziò a collaborare per dare vita alla svolta dei cosiddetti album bianchi, di cui si è più volte parlato in questo blog a dimostrazione della mia totale devozione per quei dischi tanto bistrattati invece dalla battistologia mainstream. L'idea che Lucio Battisti sia stato spinto a contattare Pasquale Panella proprio ascoltando le canzoni di Enzo Carella è ovviamente solo una fantasiosa supposizione, ma è funzionale per farsi un'idea della vicinanza, volontaria o involontaria, tra questi due irregolarissimi e unici geni della canzone italiana.

"Malamore" è un brano estratto da "Vocazione", il primo album di Enzo Carella uscito nel 1977. Il brano rappresenta perfettamente le qualità del suo autore nel proporre brani squisitamente pop in una raffinatissima confezione musicale. Lui, il primo cantante "indie" della storia della canzone italiana.