sabato 13 febbraio 2021

Alla fiera dell'Est e Chad Gadya - Il talento filologico di Angelo Branduardi

Il Chad Gadya, o Had Gadya (חַד גַדְיָא) è un canto utilizzato durante la Pesach ebraica, nello specifico durante il rituale della cena che precede il primo giorno delle festività pasquali (Seder di Pesach).
Chad Gadya, tradotto letteralmente come "L'unico capretto", ha una struttura ciclica, nella quale si iterano i destini di vari personaggi, uno per ogni strofa, ciascuno collegato alla strofa precedente.
Il tema principale racconta di un padre che acquista un capretto per due zuzim (due denari d'oro, molto significativi a livello simbolico), e nelle varie strofe si susseguono il gatto che si mangia il capretto, il cane che morde il gatto, il bastone che picchia il cane, e così via. Tale ciclicità è stata oggetto di innumerevoli interpretazioni, su cui si sono espressi anche molti rabbini e studiosi biblici.
Nel 1976 un giovane Angelo Branduardi propone il testo tradotto in Italiano, con pochissime variazioni (la più importante è "un capretto" che diventa "un topolino"), affiancando ad esso una parte musicale ispirata a varie fonti: motivi della tradizione medievale araba ed europea, arrangiamento che soprattutto nelle strofe ricorda la musica sufi, organico strumentale medievale e rinascimentale. 
La canzone"Alla fiera dell'Est" diventa un successo internazionale, tanto da essere ancora oggi la melodia più utilizzata nel canto originale "Chad Gadya".
Sul talento e la preparazione autoriale e musicale di Angelo Branduardi si è parlato e scritto molto. Si tende però spesso a trascurare la sua grande ricerca filologica ed etnomusicologica, mostrata nella canzone "Alla fiera dell'Est" così come in tante altre occasioni ("Ballo in fa diesis minore", "Cogli la prima mela", "Donna ti voglio cantare", etc.). Una caratteristica che lo rende unico nel panorama cantautoriale italiano.

Curiosità: Chad Gadya viene citata nell'Ulisse di James Joyce (Episodio 7 - Eolo).







lunedì 1 febbraio 2021

La pioggia di Filippo Clary feat. Niccolò Fabi

Una nuova collaborazione per Niccolò Fabi. Nuova per modo di dire, perché Filippo Clary e Niccolò, come ha raccontato il cantautore romano in un recente post su Facebook, si conoscono da tempo. Peraltro a Riccardo Clary, fratello di Filippo e personaggio notissimo della discografia italiana (Virgin, EMI, etc.), dobbiamo molto, in quanto fu lui nel 1996 a tirare fuori dal cappello della Virgin l'esordio discografico di Niccolò Fabi con l'album "Il Giardiniere", contenente "Dica" e "Capelli".

Ascoltando "La pioggia" si ha l'impressione di fare un salto indietro nel tempo: riemergono alcune sonorità che in qualche modo ricordano "La cura del tempo", ma con finiture che ne attualizzano il contenuto musicale, evitando così un possibile effetto nostalgia. Testo e musica sono di Filippo Clary, già fondatore del gruppo nu jazz dei "Gabin". Per lui si tratta del primo album da solista, e soprattutto del primo brano interamente in lingua italiana.

Ci ha pensato probabilmente Niccolò Fabi a lavorare di lima e scalpello sul testo di "La pioggia" scritto qualche anno fa da Clary, e così la canzone si colloca perfettamente nello spazio e nel percorso di Niccolò, in linea con le sue precedenti produzioni e con l'ultima "Tradizione e tradimento" (2019).

Leggendo il testo viene in mente il singolo "Il tuo ricordo" recentemente pubblicato da Samuele Bersani e incluso nell'album "Cinema Samuele". I temi ricorrono molto spesso di questi tempi: la voglia di cambiare, il timore di abbandonare un percorso già tracciato, il passato e i ricordi con cui fare i conti, e che rischiano sempre di lasciarci fermi a guardarci indietro.

In un momento come quello odierno è difficile vedere la luce diretta del sole di fronte a noi, vale quindi la pena provare a entrare nella pioggia e scorgere qualche sprazzo di sole riflesso nelle singole gocce.