venerdì 3 novembre 2017

La storia di "Mario" di Enzo Jannacci (e di Pino Donaggio) - Dall'album "Foto ricordo" (1979)

Nella geniale copertina dell'album "Foto ricordo" Enzo Jannacci è ritratto con la sua famiglia in una vecchia foto in bianco e nero, in posa come si faceva un tempo, quando per impressionare una pellicola potevano volerci anche diversi minuti e bisognava restare immobili. Paradossalmente però i soggetti indossano dei pattini a rotelle: la fissità apparente della foto acquisisce così uno straniante senso di instabilità. Questo è Enzo Jannacci, un autore che ha saputo rappresentare il grottesco e l'assurdo come nessun altro nella storia della canzone italiana, difficilmente paragonabile anche con altri autori stranieri (per quanto mi ha sempre incuriosito l'interesse di Jannacci per Chico Buarque de Hollanda).

"Foto ricordo" è forse uno degli album più significativi nella carriera del cantautore milanese, e pur se per buona parte delle tracce Jannacci non figuri come autore (ci sono anche "Bartali"e "Sudamerica" di Paolo Conte), nell'insieme l'album rappresenta perfettamente il suo mondo.
Con la firma di Enzo Jannacci spiccano comunque le malinconiche "Io e te" e "Ecco tutto qui" (reinterpretata poi da Mina nell'album "Mina quasi Jannacci"), oltre a "Natalia", una storia di malasanità, sicuramente frutto dell'esperienza diretta del "cardiologo che praticava la musica per hobby".

"Mario" portava invece le firme di Pino Donaggio (sì lui, lo stesso di "Io che non vivo" e della colonna sonora di "Carrie") per la parte musicale, e di Danilo Franchi per il testo. Donaggio l'aveva già incisa nel suo disco "Certe volte...". Jannacci ne rimase colpito e decise di registrarla, facendone uno dei suoi più grandi successi, arricchendo il brano con la sua singolare vocalità e con la sua notevole drammaticità interpretativa.

"Mario" è una canzone che fa male: già nella scelta di quel nome così comune c'è la rappresentazione di tutti noi, delle nostre solitudini e della nostra quotidiana lotta con una società che ci inghiotte e fa scomparire la nostra voce e le nostre richieste d'aiuto in un assordante rumore di fondo.
L'estremo gesto di Mario è commentato dall'autore, per la prima volta in prima persona all'interno della canzone: ma non conveniva "lasciar fare alla vita questa vecchia fatica"?

Dell'arrangiamento musicale colpiscono lo scherzoso arpeggio di chitarra del ritornello, in netto contrasto con il significato del testo, e la struggente melodia suonata con l'armonica dal grande Bruno De Filippi, amico e collaboratore di Jannacci. 





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