mercoledì 8 novembre 2017

Poetica, inno alla vita e all'amore di Cesare Cremonini

Ho accolto con grande stupore il nuovo singolo "Poetica" di Cesare Cremonini. I cliché del mercato e delle case discografiche ci hanno abituati alle convenzioni, così, se un cantante meravigliosamente pop come Cremonini dopo 3 anni dal suo ultimo album ("Logico", 2014) se ne esce con un singolo costruito su un andamento blues e con le parti strumentali affidate al theremin la sorpresa è assicurata.

Ma Cesare Cremonini, come di consueto, non fa pesare mai nulla, neanche le scelte più difficili e fuori dagli schemi. Si era già detto qualche post fa a proposito di "Le sei e ventisei". Solo lui e Lorenzo Jovanotti hanno questo grande pregio che li distingue da tutti gli altri.

"Poetica" si presenta così al primo ascolto come un brano di una stupefacente leggerezza, in grado di assolvere pienamente alla straordinaria missione della musica, appunto, leggera. 
Eppure non è una canzone semplice. Non lo è nel testo, costruito sulla centralità di alcuni concetti in chiaroscuro, tra la "stanchezza", l'"abbandono", e una fiducia nella grande forza della vita, perché "anche se penserai che non è poetica questa vita ci ha sorriso e lo sai non è mai finita". E musicalmente, pur non allontanandosi da molti elementi ricorrenti nelle sonorità del Cesare Cremonini degli anni 2010, restano impressi l'uso funzionale di uno strumento "vintage" come il theremin, a cui vengono affidate le parti strumentali della canzone, e quegli accenni di blues presenti nelle strofe e nel solo di chitarra.

Se queste sono le premesse c'è solo da aspettarsi grandi cose per il nuovo album "Possibili scenari" in uscita a fine novembre 2017.

venerdì 3 novembre 2017

La storia di "Mario" di Enzo Jannacci (e di Pino Donaggio) - Dall'album "Foto ricordo" (1979)

Nella geniale copertina dell'album "Foto ricordo" Enzo Jannacci è ritratto con la sua famiglia in una vecchia foto in bianco e nero, in posa come si faceva un tempo, quando per impressionare una pellicola potevano volerci anche diversi minuti e bisognava restare immobili. Paradossalmente però i soggetti indossano dei pattini a rotelle: la fissità apparente della foto acquisisce così uno straniante senso di instabilità. Questo è Enzo Jannacci, un autore che ha saputo rappresentare il grottesco e l'assurdo come nessun altro nella storia della canzone italiana, difficilmente paragonabile anche con altri autori stranieri (per quanto mi ha sempre incuriosito l'interesse di Jannacci per Chico Buarque de Hollanda).

"Foto ricordo" è forse uno degli album più significativi nella carriera del cantautore milanese, e pur se per buona parte delle tracce Jannacci non figuri come autore (ci sono anche "Bartali"e "Sudamerica" di Paolo Conte), nell'insieme l'album rappresenta perfettamente il suo mondo.
Con la firma di Enzo Jannacci spiccano comunque le malinconiche "Io e te" e "Ecco tutto qui" (reinterpretata poi da Mina nell'album "Mina quasi Jannacci"), oltre a "Natalia", una storia di malasanità, sicuramente frutto dell'esperienza diretta del "cardiologo che praticava la musica per hobby".

"Mario" portava invece le firme di Pino Donaggio (sì lui, lo stesso di "Io che non vivo" e della colonna sonora di "Carrie") per la parte musicale, e di Danilo Franchi per il testo. Donaggio l'aveva già incisa nel suo disco "Certe volte...". Jannacci ne rimase colpito e decise di registrarla, facendone uno dei suoi più grandi successi, arricchendo il brano con la sua singolare vocalità e con la sua notevole drammaticità interpretativa.

"Mario" è una canzone che fa male: già nella scelta di quel nome così comune c'è la rappresentazione di tutti noi, delle nostre solitudini e della nostra quotidiana lotta con una società che ci inghiotte e fa scomparire la nostra voce e le nostre richieste d'aiuto in un assordante rumore di fondo.
L'estremo gesto di Mario è commentato dall'autore, per la prima volta in prima persona all'interno della canzone: ma non conveniva "lasciar fare alla vita questa vecchia fatica"?

Dell'arrangiamento musicale colpiscono lo scherzoso arpeggio di chitarra del ritornello, in netto contrasto con il significato del testo, e la struggente melodia suonata con l'armonica dal grande Bruno De Filippi, amico e collaboratore di Jannacci.