Già dalle prime note il ricordo vola a quegli sprazzi di nuvole tra le vecchie case di Via della Viola, in un pomeriggio autunnale perugino, un autunno che si prospettava già frizzante, perché mi ero appena stabilito nella città universitaria per il mio primo anno di Lettere e filosofia.
Ed eccolo, Francesco Guccini, come un caro zio per noi ragazzi cresciuti a pane e cantautori, se ne usciva con quel nuovo album, "D'amore di morte e altre sciocchezze", a qualche anno di distanza da quel "Parnassius Guccinii" che mi aveva lasciato con un pesante carico di perplessità (con qualche sublime eccezione, "Samantha" per esempio).
Fu amore sin dalle prime note, già in quell'incipit di "Lettera" condotto dalla riconoscibile e infallibile batteria di Ellade Bandini, che subito pone l'accento ritmico su quella ciclicità che diventerà un denominatore comune nelle successive produzioni di Guccini (basti pensare anche all'album "Le stagioni", in stretta continuità con "D'amore di morte e altre sciocchezze").
"In giardino il ciliegio è fiorito agli scoppi del nuovo sole": parte dalla primavera (singolare, perché poi l'album usciva in pieno autunno) una carrellata di immagini che suggeriscono lo scorrere veloce del tempo e delle stagioni. Ogni immagine, anche la più apparentemente confortante, è carica di una densa coltre di malinconia; la malinconia di chi percepisce come inesorabile e impietoso lo scorrere del tempo, quel tempo che non rende indietro stagioni, donne, canzoni, e amici persi ("Lettera" nacque dopo il funerale dell'amico Francesco "Bonvi" Bonvicini, fumettista autore di "Sturmtruppen") .
L'ho amato questo brano, immediatamente, lo sentivo l'acciottolante suono che fanno i piatti, così come udivo dalle finestre la voce roboante delle TV accese, lì in quella piazzetta nel mezzo di un centro storico che di stagioni ne aveva viste scorrere a migliaia.
Eppure solo oggi, nella maturità di quasi 50 anni, con il carico di esperienze necessario sulle spalle, riesco a percepire il respiro "melanconico" di quelle strofe, di quella metrica così incalzante, amplificata nell'incedere ritmico delle percussioni, nella timbrica inconfondibile del Maestrone, nelle sue consonanti scivolate. Melanconia, per l'appunto, da interpretare nel modo giusto, non disillusione, né rassegnazione, ma accettazione, e forse anche un sottile anelito a qualcosa che ancora deve venire.
Lettera è un gioiello non solo nella discografia di Guccini ma nell'intera storia della canzone d'autore italiana, e lo stesso autore la considerò inizialmente come l'"ultima", poi non fu l'ultima, ma sicuramente segnò un apice indiscusso nella sua carriera di cantautore.