Si torna a Fabio Concato. Mi succede spesso, è un ritorno sempre piacevole, specialmente se mentre scrivo queste quattro righe lì fuori è un rigido e piovoso pomeriggio di inizio dicembre.
"Speriamo che piova" dice Concato, ma lo dice con quella sua proverbiale gentilezza che, mi ci gioco la testa, potrebbe farti prendere bene anche un insulto.
Quella traccia viene dall'album "Giannutri", del 1990: è il periodo di grazia nella discografia del cantautore meneghino, la fase in cui si arricchiscono gli arrangiamenti e si impreziosiscono i testi. La produzione è di Phil Ramone, da sempre molto attento alla scena autoriale italiana (di Alan Sorrenti abbiamo già parlato qualche post fa), gli arrangiamenti di Peter Vettese, ovvero uno dei pilastri dei Jetrho Tull degli anni 80 (Ian Anderson a parte).
La canzone si sviluppa sul tema del viaggio, uno dei punti fermi della poetica concatiana. Del resto lo dice esplicitamente al secondo verso: "A noi piace tanto viaggiare". Il bello è che i suoi non sono viaggi intercontinentali, verso chissà quali esotiche mete. No, Concato viaggia in auto, in bicicletta, o nel caso specifico in corriera: crepuscolare, ma con una strepitosa vitalità, tanto che vorresti essere lì, un po' da terzo incomodo con il lui e la lei della canzone, in una sera estiva qualsiasi, percorrendo l'Aurelia probabilmente, per arrivare dalle parti dell'Argentario.
Un po' in controtendenza con qualsiasi altra canzone estiva, qua si spera che arrivi la pioggia, magari solo per una notte, e del resto il fatto che dalla costa si veda Giannutri (l'isola, meravigliosa, che dà il titolo all'album) fa ben sperare, almeno stando a una diceria popolare. Sì, perché c'è da rinfrescare un po' quell'afosissima nottata, e soprattutto perché "quando c'è brutto mi ami più forte". Come sempre, dietro la delicatezza melodica e armonica di Concato, dietro quella apparente innocenza da fanciullino, c'è sempre una generosa quantità di eros e malizia, e stavolta anche un po' di ansia da prestazione ("le solite ansie da ometto").