venerdì 18 settembre 2020

Harakiri - Di Samuele Bersani

Nella cultura tradizionale giapponese il termine "Harakiri" (o più propriamente il "Seppuku") si riferisce al suicidio rituale, "privilegio" riservato alla sola casta dei Samurai, ad espiazione di una colpa o semplicemente di una situazione di disonore.

E' importante partire dal significato della parola che dà il titolo al nuovo singolo di Samuele Bersani (che anticipa l'album "Cinema Samuele" in uscita il prossimo 2 ottobre 2020), perché quella parola dà un senso all'intero testo: un testo ermetico, ma non privo di un genuino humour, intriso di simbologia che strizza l'occhio anche al linguaggio della psicanalisi. O almeno, questo è ciò che vi ho trovato con la mia lettura che, è sempre bene ammetterlo, non ha alcuna pretesa di oggettività. 

Nell'harakiri c'è l'estremo sacrificio, che nella cultura occidentale ha anche assunto eufemisticamente il significato di evirazione, pertanto di castrazione; contemporaneamente però un autore come Yukio Mishima lo definiva atto di "masturbazione estrema". 

L'accidentato e stralunato percorso del protagonista della canzone muove da un cinemino parigino a luci rosse (in cui dovrebbe essere compiuto l'estremo gesto, se non fosse per la trama e i dialoghi del film che distolgono le sue attenzioni) e attraversa spazi che ben identificano lo status di emarginazione e degrado. Sono i dettagli che arricchiscono la poetica del brano: una baracca che diventa astronave appoggiata su due pietre; l'aragosta nella busta; il fornello tenuto in bilico con un ombrello; le bestemmie di marmo.

Poi la trasformazione, la rinascita, che però arriva dopo una serie di giorni infelici, e si può dedurre che essa sia conseguenza di qualcosa, forse proprio dell'atto che dà il titolo al brano. Cinematograficamente parlando diremmo che questo sia un "plot twist", in cui il protagonista, vestito di bianco (colore di purezza e di rinascita), diviene "lucciola in mezzo a un black-out", e il cielo si apre "a serramanico come se spalancasse un sipario (il serramanico meccanismo di apertura di un coltello da aggressione, notare come funziona bene il contrasto). Siamo pertanto nella sfera della finzione (ce lo fa capire anche il finale del videoclip ideato da Pacifico e girato da Giacomo Triglia), e probabilmente, del sogno, forse un sogno nel sogno.