Un incontro così tanto desiderato, anche solo per avere un giorno la soddisfazione di allontanarsi e vedersi andare via; i ricordi, gli affetti perduti, i gesti, le frasi consuete e l’ordinarietà dei rapporti in cui ci si fa del male per potersi perdonare; le maschere indossate durante la routine quotidiana, così come quelle indossate sopra un palco, davanti a un pubblico che ti batte le mani. E quell’unica domanda: “Quale allegria”, e anche un punto interrogativo sarebbe troppo conclusivo. No, non c’è conclusione, mai, nessun cerchio che si chiude, nessun vero gran finale, progetto, o grande missione da compiere. E “Andrea, un bastone e cento denti che ci chiede di pagare” è lì a ricordarcelo. Perché tutto sommato l’angoscia dell’essere incompleti e la necessità fanno di noi ciò che siamo, miseramente e semplicemente umani.
Siamo vicini alla poetica esistenzialista, e sappiamo che Lucio Dalla è arrivato da quelle parti passando attraverso la collaborazione con il poeta Roberto Roversi, iniziata nel 1973 con “Il giorno aveva cinque teste” e conclusasi con “Automobili” (capolavoro) del 1976.
“Quale allegria” è datata 1977, ed è inclusa nell’album “Com’è profondo il mare”, il primo in cui Dalla compare come autore sia della parte musicale che dei testi (no, il testo di “4/3/1943” non è di Lucio Dalla). Anche se inizialmente destinata all’interpretazione di Ornella Vanoni, sembra impossibile pensare a “Quale allegria” come brano distaccato dal resto dell’album, perché tutto l’album è un meraviglioso affresco, dove si contrappongono e si compenetrano quasi in un unico racconto la realtà, il sogno, la vita, la cronaca, le ideologie (“E non andar più via”), il sano cazzeggio (“Disperato erotico stomp”), la storia.