martedì 1 ottobre 2019

Lucio Battisti: la mia playlist ideale

Nel mio "best of" dedicato a Lucio Battisti metterei queste 10 canzoni. Avrei potuto mettere, per gusto personale, molte più cose degli album con Panella, a mio parere veri e propri gioielli che migliorano come migliora nel tempo il vino più buono del mondo. Purtroppo proprio quegli album sono rimasti fuori dalla diffusione nelle piattaforme digitali.
Degli anni con Mogol ho scelto invece gli episodi dove più risalta a mio parere la personalità di Battisti, perché - non me ne vogliano i tradizionalisti - a mio parere Mogol ha dato il massimo proprio dove Lucio Battisti ha tracciato meglio la strada a livello espressivo.

Emozioni (Emozioni): libertà, natura, ricordo, emozione, un poker sentimentale ed evocativo che non ha eguali nella storia della canzone. L’introduzione affidata alla chitarra classica ti prende e ti trasporta direttamente nello stesso scenario vissuto da Mogol e Battisti durante il loro viaggio a cavallo per l’Italia nel 1970.

Vento nel vento (Il mio canto libero): testo semplice e immediato, musica di una potenza lirica ineguagliabile. La parte strumentale è monumentale, tanto da essere stata ripreso a mo' di citazione da De Gregori qualche anno dopo nel finale di “La leva calcistica del ’68”.

Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi (Il mio canto libero): Puro virtuosismo cantautorale, giocato sul rapporto tra parola e musica, in stile quasi madrigalistico. Da notare ad esempio come si muove la melodia in “Le discese ardite e le risalite”.

Questo inferno rosa (Il nostro caro angelo): Lasciando da parte l’estremo “Amore non amore”, è con “Il nostro caro angelo” che iniziano le vere sperimentazioni. Di questa canzone adoro l’alternarsi di schemi melodici e ritmici totalmente diversi, che però suonano perfettamente amalgamati e uniti in un unico discorso musicale.

Gli uomini celesti (Anima latina): in quegli anni il Sud America andava di gran moda. Tanti portavano in lingua italiana pezzi famosi di bossa nova, molti ne traevano ispirazione riproducendone però schemi e cliché. Battisti no, lui in Anima Latina prende la corrente del tropicalismo (di Caetano Veloso e Gilberto Gil) e ne fa una cosa totalmente sua. Si sentono sì le influenze ma anche la dirompente originalità.

Prendila così (Una donna per amica): è nell’album più “cinematografico” di Battisti che secondo me Mogol esprime al meglio la sua arte. La storia di Prendila così si segue dalla prima all’ultima nota e dalla prima all’ultima parola, con l’eccezionale, evocativa, notturna, urbana chiusura lasciata al solo del sax.

Con il nastro rosa (Una giornata uggiosa): l’album della separazione da Mogol, e anche quello meno ispirato, appesantito un po’ dagli arrangiamenti di Geoff Westley (efficacissimo invece nel 1981 in “Strada facendo” di Baglioni). Fa eccezione “Con il nastro rosa”, dove in effetti l’arrangiamento è meno elaborato, ma impreziosito dal gigantesco solo di chitarra di Phil Palmer. Qui testo, ritmo e musica riescono a ritrovare quel perfetto equilibrio che latita un po' invece nelle altre tracce.

Le cose che pensano (Don Giovanni): L’apertura ideale per il periodo “bianco”. Prima traccia di “Don Giovanni”, dove in embrione compaiono già tutti gli elementi dei successivi 5 album firmati Battisti-Panella. Cambia il processo di scrittura, si evolve la ricerca musicale, si semina per ciò che la musica italiana dei 40 anni successivi potrà liberamente raccogliere.

Cosa succederà alla ragazza (C.S.A.R.): Estremo, ironico, audace. Qui Battisti raggiunge l’apice sotto tutti i punti di vista. E Panella gli si affianca con grande maestria.

Estetica (Hegel): Se Don Giovanni segna l’inizio del periodo bianco, e C.S.A.R. ne rappresenta l’apice artistico, Hegel è la sintesi e il commiato perfetto, in particolare Estetica, che sembra dare una spiegazione teoretica a tutti i 5 album degli anni 80/90.