In occasione di una serata a tema su Sergio Endrigo, invece di andare sul sicuro effetto con una "Io che amo solo te" o "Canzone per te", abbiamo fatto un'incursione verso quel repertorio di filastrocche che ha caratterizzato parte della carriera del cantautore spesso definito "triste".
Abbiamo così scelto "L'arca di Noè", canzone portata al successo da Iva Zanicchi nel 1970, vincitrice del premio della critica al Festival di Sanremo.
"Che fatica essere uomini": merita sicuramente attenzione un pezzo con un ritornello apparentemente leggero e spensierato, tipico appunto del genere "filastrocca", le cui strofe però terminano con un'affermazione sostanzialmente disperata.
In effetti, dietro la maschera della filastrocca si nasconde un testo ricercatissimo, che nel suo significato proietta Endrigo in avanti, di 40 anni. Si parla di ambiente, di apprensione per la salute della nostra terra, di solitudine e rottura di quel legame innato tra l'uomo e la natura, o in senso più ampio tra l'uomo e il cosmo.
Mi è tornata alla mente quell'"ecologia umana" protagonista dell'Enciclica "Laudati si'" di Papa Francesco, in cui viene appunto citato il simbolo dell'Arca per indicare la rinascita e la rigenerazione di una nuova umanità, in grado di recuperare quell'armonia perduta.
"Il cane, il gatto, io e te": è l'essenziale calore familiare che popola l'Arca nell'efficace poetica delle piccole cose di Endrigo.
Pubblico la versione dal vivo di "L'Arca di Noè" interpretata dalla giovane cantautrice umbra Valeria Crescenzi, di cui ho già parlato in occasione del suo singolo "Il giorno di festa", e che a mio parere ha varie affinità con la poetica di Sergio Endrigo.