Il fatto è che "Solo" divide nettamente in due la carriera di Claudio Baglioni, e getta solide basi per l'intera discografia successiva, a dire il vero molto successiva. Perché il discorso non vale tanto per il disco successivo, "E tu come stai", che sembra fare un passo indietro rispetto a "Solo", e nemmeno per "Strada facendo", primo tentativo - riuscito solo in parte - di internazionalizzare la musica di Claudio (è un'affermazione forte, ma si sente troppo la mano pesante degli arrangiamenti di Geoff Westley); e neanche per "La vita è adesso", che rimane un episodio pop a sé che ancora oggi fatico a classificare.
La semina di "Solo" trova il suo raccolto più generoso nella nota trilogia "Oltre" - "Io sono qui" - "Viaggiatore sulla coda del tempo", divenendone a posteriori quasi un prologo.
"Solo" è un opera molto ambiziosa: nel suo primo album autoprodotto Claudio Baglioni sembra volersi mettere alla prova, lasciando da parte i facili consensi (ma alla fin fine io credo che lui si sia sempre messo alla prova, anche nei lavori più immediati dei primi anni), e costruendo minuziosamente un intero universo musicale e poetico. Ogni brano costituisce un mondo a sé, vagando fra generi musicali e atmosfere assai eterogenee, ma raccontando nell'insieme un'unica storia, costruita sul tema della solitudine umana.
Ci sarebbe tanto da dire, per ogni singola traccia: vorrei parlare della breve ma devastante introduzione di pianoforte della title track; del moog di Toto Torquati in "Quante volte"; della chitarra finger-picking di Giovanni Unterberger in "Strip tease"; della sublime rappresentazione della classe operaia in "Duecento lire di castagne", che fa invidia alla maggior parte dell'"eletta schiera" dei cantautori impegnati di quegli anni; o delle immagini evocate da quell'ultimo canestro del "Pivot".
Scelgo quella che a mio parere è in assoluto una delle più belle canzoni di Claudio Baglioni: "Nel sole, nel sale, nel sud". Si tratta del primo episodio, nella discografia baglioniana, dove palesemente l'attenzione dell'autore è rivolta verso la "world music", più precisamente verso la musica popolare brasiliana, sia nell'incipit, dove è impossibile non pensare al falsetto di Milton Nascimento, che nel coinvolgente ritmo di samba che chiude il brano.
Il testo ci porta esso stesso a Rio, per raccontarci la solitudine di un giovane tassista carioca. Il racconto è affidato a fortissime immagini, che descrivono la fisionomia del personaggio (il "naso a nodo di cravatta", i "polsi di bambù"), i suoi stati d'animo ("traffico, disperazione, attesa, rabbia, nostalgia, rassegnazione da portare a spasso gratis tutti i santi giorni per le vie di Rio"), i suoi luoghi, il suo vissuto e il sogno di una possibile redenzione.
E' una mia idea tutta da verificare, ma resto convinto che Claudio Baglioni sia stato molto influenzato dalla canzone brasiliana, più in particolare dalla musica e dalla poesia di Chico Buarque de Hollanda, ho già affrontato la questione parlando di "Poster", e ci sarebbero molti altri elementi a conferma di questa devozione mai dichiarata: per citarne uno a caso, la sequenza armonica in "Ragazze dell'Est" (1981) non ci ricorda forse "Retrato em branco e preto"?