mercoledì 21 febbraio 2018

Le tasche piene di sassi - Jovanotti

Una canzone la puoi ascoltare per centinaia, migliaia di volte, ma c'è quella volta che ti arriva in modo diverso, e l'ascolto diventa un'esperienza diversa, e si trasforma in pura emozione. 
Succede così, ed è la potenza della "musica leggera", e Lorenzo Cherubini, per tutti Jovanotti, ne è il nostro più autentico rappresentante (insieme a Cesare Cremonini, di cui si è già detto qualche post fa). 
"Le tasche piene di sassi" è un titolo mascochisticamente pieno di "s" per l'oramai nota (e deliziosa) imperfetta dizione di Lorenzo. Per questo motivo è entrata nel repertorio di base di tanti imitatori e cabarettisti.

Eppure è un titolo che cela un significato profondamente malinconico.
L'immagine dei sassi nelle tasche già di per sé suggerisce l'idea di un peso, e c'è un cupo senso di necessità, che impedisce, almeno momentaneamente, di spiccare un qualsiasi volo, quel volo che sempre torna nella poetica di Jovanotti ("La vertigine non è paura di cadere / ma voglia di volare" - Mi fido di te - 2005), e che è libertà, passione, energia, vitalità.
Quel peso è il senso di solitudine e di abbandono, conseguente a una perdita importante (come la morte di un familiare), che riaffiora nel tenero ricordo di quella volta all'uscita di scuola, quando nessuno venne a prenderti.
Tante "S" anche in quel "Sono solo stasera senza di te", un verso così pieno di vita e tenerezza che si fa fatica a trattenere la commozione.

Jovanotti scrisse la canzone di getto pochi giorni dopo la scomparsa di sua madre, nel 2010. 
La canzone venne inserita nell'album "Ora" del 2011, che contiene anche le tracce "Tutto l'amore che ho" e "Il più grande spettacolo dopo il Big Bang".


lunedì 5 febbraio 2018

Il buio col "Pesto" di Calcutta

La nuvola dell'indie è sempre più rarefatta, e finalmente inizia a filtrare una luce vitalissima da quell'ostinato grigiore, tanto caro ai puristi della tradizione della cosiddetta "musica indipendente italiana".
Sinceramente, in generale se amiamo la musica italiana non possiamo che essere contenti che Calcutta e Paradiso stiano lì, sulla cresta dell'onda, e macinino successi, da soli o accompagnati, con Takagi e Ketra, con Fedez o chiunque altro. E' anche grazie a loro che la scena musicale italiana sta finalmente uscendo da perverse logiche di conservazione, alimentate principalmente (ma non solo) dalle major discografiche, che hanno inaridito per 20 anni l'intero mercato discografico legato alla sin troppo etichettata musica "pop".

La maturità di Calcutta è ben segnata dagli ultimi due singoli usciti, "Orgasmo" e "Pesto".
In "Pesto" soprattutto si nota chiara un'evoluzione linguistica, nella musica e nel testo.
Musicalmente prevale un linguaggio ben ancorato alla più tradizionale ballata pop italiana, con quegli accordi di pianoforte e quei tappeti d'archi, gli special, il liberatorio lancio del climax prima del ritornello. 
Eppure la struttura armonica del ritornello è stupefacente, lo stesso Calcutta ha pubblicato la partitura di quell'inciso sugli accordi di B - C#min - Emaj7 - B - C#min7 - A - A7. Colpisce la sorprendente drammaticità di quel Emaj7, per nulla scontato (la logica vorrebbe un F# o un D#min7), in grado di far precipitare il climax culminato nei primi due accordi B - C#min e nel liberatorio "Ueee deficiente".

Il testo evidenzia alcuni tratti oramai "tipici" del Calcutta che già conosciamo, ma con un'inedita propensione per il gioco di parole, per la costruzione dell'effetto sulla base delle evocazioni che comunicano parole apparentemente decontestualizzate. 
"Pesto": nel leggere il titolo abbiamo pensato tutti al famoso piatto tipico genovese; nel testo la parola compare nel verso "Fuori è notte, mangio il buio col pesto". Come si può notare il termine non viene completamente decontestualizzato, ma integrato alla rappresentazione di un concetto come il buio.
Lo stesso avviene con il pianto, che diventa "una botte che perde" e con il ricordo del suono della voce della persona amata, "un filo di ferro dentro l'orecchio".

Un'ultima considerazione spetta di diritto al video, diretto da Francesco Lettieri, su un'ambientazione anni '90 (Fiumicino, 1994) che però ricorda anche scenari pasoliniani.